Case di sassi a Dalmine

Tra pista ciclabile e campi coltivati, presto a Dalmine si potranno vedere dei cumuli di ciottoli, circondati da arbusti. Ecco cosa sono e a cosa servono.

Seminascosti dagli arbusti, piccoli cumuli di ciottoli sono apparsi in quel di Dalmine. Si trovano tra la pista ciclabile e i campi che costeggiano il fiume Brembo e costituiscono piccoli rifugi per anfibi e rettili endemici.

Sono stati realizzati nell’ambito del progetto Natura vagante e rispondono all’esigenza di preservare la biodiversità: a livello di specie ma anche di ecosistema.

Gli habitat pietrosi simulati dai cumuli, infatti, sono piuttosto rari in natura. Si formano quando i torrenti cambiano il proprio tragitto, abbandonando un alveo per un altro. 

Quello che si lasciano alle spalle è un paesaggio di ciottoli levigati, tra cui mettono radice erbe selvatice abituate ai terreni facilmente percolabili. Tra le anse di sassi, anfibi come il rospo smeraldino, o rettili quali ramarri, biacchi, saettoni e lucertole muraiole, trovano invece pietre calde su cui crogiolarsi e anfratti umidi dove ripararsi all’occorrenza.

Un paesaggio all’apparenza arido e abbandonato si rivela così una piccola parentesi, selvaggia e rara, tra strade e campi coltivati.

Sarabanda-birb

Riconoscere le specie di avifauna dal canto è un’arte, ma anche un gioco dalla valenza scientifica. Esistono App per il cellulare che consentono di registrare i canti uditi e raccogliere dati su come siano distribuite le popolazioni. È un modo di appagare la curiosità e contribuire al monitoraggio della biodiversità.

Ti è mai capitato di fermarti ad ascoltare il cinguettio degli uccelli e domandarti a quale specie appartenga? Riconoscerli dal canto è questione di ascolto ed esercizio. Ti sei mai cimentato in questa Sarabanda naturalistica?

Qui abbiamo raccolto i canti di alcune specie, disponibili sul sito xenocanto, una vera e propria banca dati del canto degli uccelli.

Ascoltali e prova a indovinare a quale specie appartengono. In fondo le soluzioni!

CANTO 1

CANTO 2

CANTO 3

CANTO 4

CANTO 1

Quello che hai sentito è il chiacchiericcio di un merlo, o turdus merula. Si tratta di un uccellino molto diffuso in Italia e in Europa, e che certo avrai visto gironzolando in città. Il maschio è nero come l’inchiostro, ma il suo becco sottile è di un vivido giallo. Lo si vede spesso fare l’equilibrista su ringhiere e muretti, mentre dondola la coda per rimanere in posizione, oppure trottare veloce tra cespugli e ciuffi d’erba.

CANTO 2
Il fringuello, o fringilla coelebs, è un piccolo passeriforme. Il maschio ha il corpo di un marroncino chiaro, le ali pezzate di nero e di bianco e la testa di un grigio-blu. I suoi trilli sono piuttosto allegri e dolci.

CANTO 3
Il suo tubare dovrebbe esserti famigliare: du-dùùùù-du… du-du! È il colombaccio, o palombo, nome scientifico: columba palumbus. Attento a non confonderlo con la tortora dal collare orientale, che di sillabe ne canta tre e non cinque!

CANTO 4
È Hirundo rustica, o rondine comune, l’ultima cantante in gara. In Italia giungono in primavera e ripartono con l’estate. Le si vede sfrecciare in cielo con la loro coda a doppia punta. La loro presenza – a volte chiassosa – è un vero toccasana: sono infatti insettivore e predano zanzare e mosche.

A Bonate Sotto il canto degli uccelli

Il Comune di Bonate Sotto sarà protagonista di uno degli interventi di Natura vagante. Boschi e siepi di specie autoctone porteranno ombra e aria pulita agli abitanti di Mezzovate. Con fiori e frutti arriveranno anche specie diverse di avifauna

A Mezzovate un piccolo bosco sta prendendo vita. Se vi passate ora, troverete tanti giovani alberi sbucare timidi dai loro sostegni. A piantarli sono stati i lavoratori di Coopcomunità, per conto del progetto Natura Vagante.


Ciliegi, rose canine, prugnoli e sambuchi sono solo alcune delle specie che, nel giro di qualche anno, metteranno fiore, ravvivando le sponde del Lesina di bianco e di rosso.
La presenza di questi alberi non è soltanto un valore estetico aggiunto, ma anche un prezioso sostegno alle specie animali che abitano i nostri territori. Per molti uccelli, ad esempio, le piante rappresentano un rifugio, una fonte di cibo e delle preziose vie di comunicazione. Il rafforzamento della vegetazione ha una funzione di tutela ambientale complementare al lavoro svolto dalle riserve e dai parchi. Rende gli ambienti fortemente urbanizzati più vivibili e penetrabili dalle altre specie, consentendo il loro spostamento, aiutando la riconnessione tra ecosistemi e contrastando il problema della frammentazione degli habitat.


Rondini, rondoni, verdoni, capinere, codirossi e merli sono alcuni degli abitanti che tra tegole, grondaie e alberi e che, chi abita in questa zona, potrà sbirciare dalle finestre delle proprie case, mentre guizzano, cantano e volano oltre il vetro.
A chi abita in queste zone, inoltre, gli alberi forniranno ombra, un filtro naturale per l’aria e una barriera per i suoni.
Convivere con le altre specie, dunque, non solo è possibile ma anche auspicabile: si cresce proteggendo o incrementando la biodiversità, non depauperandola.

Uno degli obiettivi di Natura vagante è proprio rafforzare questa idea.

Sotto gli elettrodotti: le piante scelte a Osio Sotto

In Italia, la rete di trasmissione elettrica ad alta tensione, che dalle centrali trasporta l’energia fino alle porte delle città, è lunga quasi 64000km. I tralicci che la sorreggono valicano montagne, parchi e altre aree verdi, ponendoci di fronte a una domanda importante: come coniugare sicurezza e conservazione ambientale?

Se piantassimo un albero molto alto sotto un elettrodotto, e questi crescesse senza mai essere potato, correremo il rischio che, prima o poi, i suoi rami sfiorino i cavi, scarichino a terra la corrente e interrompano la linea. Non solo: la manutenzione del traliccio risulterebbe molto complicata. Per queste ragioni si è sempre preferito radere alberi e arbusti, lasciando sotto ai cavi delle lunghe strade di erba. Da un punto di vista ambientale, però, questo è un problema, perché frammenta gli ecosistemi e impoverisce la biodiversità.

C’è però un’alternativa a questo deserto artificiale di specie, ed è la piantumazione di una macchia di arbusti e piccoli alberi, accuratamente selezionati perché la loro crescita non influenzi la manutenzione dell’elettrodotto, pur incentivando la presenza della fauna animale. 

Nocciolo, sambuco, rosa canina, biancospino sono tra le specie più indicate dalle linee guida che raccontano i benefici di questo tipo di soluzione: contrasto alla frammentazione degli habitat, conservazione delle specie e minor dispendio di denari. Il periodico taglio a raso delle piante, infatti, ha un costo non indifferente!

I progettisti di aBC Studio hanno fatto proprie queste linee guida per l’intervento di Natura vagante a Osio Sotto, dovendo infatti operare sotto a dei tralicci. Il boschetto appena piantumato guiderà gli animali che sfrutteranno l’ecodotto attraverso le case, il campo da padel e la zona industriale, fornendo – al contempo – ombra, riparo dal suono e pulizia dell’aria per i cittadini che lì vi abitano.

Cadono anfibi ma è tutto normale!

Si chiamano rospodotti e sono vie di passaggio artificiali create per aiutare gli anfibi a superare le strade. La loro presenza salva migliaia di esemplari ad ogni primavera.

All’inizio della primavera occhi bulbosi e gole gracidanti emergono da tane di foglie e terriccio, per muovere verso acque ferme in cerca di una compagna o un compagno.

Rospi, rane, raganelle e altri anfibi accolgono la fine dell’inverno con marce e canti, pronti a dare vita a una nuova generazione di girini. Spesso, però, strade, ferrovie e recinzioni trasformano questi viaggi in una corsa ad ostacoli: estenuante da portare a termine e ad altissimo rischio di mortalità. Chi si occupa di road ecology e conservazione delle specie ha elaborato alcune strategie per mitigare l’impatto delle infrastrutture stradali. Si chiamano rospodotti e rappresentano degli ecodotti costruiti specificamente per le esigenze degli anfibi. Generalmente si tratta di piccoli tunnel, ricavati interrando tubi di cemento. Come i percorsi pedonali, possono essere ad una o più corsie; l’importante è che il percorso sia lievemente in discesa, per favorire l’uscita, e presenti un fondo di terriccio umido.  Per favorire il loro utilizzo, all’imbocco e all’uscita del tunnel vengono messe a dimora piante che guidino gli animali verso l’ingresso: la vegetazione, infatti, rappresenta per molte specie ciò che le strade sono per noi umani. Allo stesso tempo, barriere poste ai margini della carreggiata impediscono agli animali di finirci in mezzo.  In altri casi, dei piccoli pozzetti vengono costruiti ai lati delle strade, perché gli anfibi intenzionati ad attraversare vi cadano dentro, venendo così dirottati verso l’unica uscita possibile: il rospodotto.

Foto grande di Chris Downer da https://www.geograph.org.uk/

Le vie degli animali

Gli ecodotti sono una delle soluzioni proposte per mitigare l’impatto di strade, ferrovie e altre infrastrutture lineari, riducendo il grave problema della frammentazione degli habitat. Specie diverse però richiedono passaggi diversi

Quando camminiamo per la strada, marciapiedi e attraversamenti appositi rappresentano un sollievo. Superare un viale, magari a più corsie, fuori dalle strisce e con le macchine che sfrecciano a bordo strada è senza dubbio pericoloso. Questo vale anche per le altre specie. Per molti animali le strade costituiscono una barriera difficilmente superabile, con gravi conseguenze per la loro conservazione.

Natura vagante: L’ecodotto di Osio Sotto

La road ecology, ossia la branca dell’ecologia che si occupa di valutare e mitigare l’impatto ambientale delle nostre vie di comunicazione, ha studiato come realizzare attraversamenti mirati. Si chiamano ecodotti. Realizzare passaggi efficaci richiede di conoscere molto bene la biologia e l’etologia delle specie che si vogliono proteggere.

Un ponte sopraelevato può risultare un comodo passaggio per un ungulato di grandi dimensioni, capace di percorrerlo in pochi istanti. Ma per una rana o una salamandra può rappresentare il viaggio di una notte. In assenza di polle d’acqua dove riposarsi, lo stesso ecodotto risulta impraticabile.  Non meno importante è la vegetazione. La sua assenza, per esempio, rischia di disincentivare il passaggio di quelle specie che la sfruttano per spostarsi.

Ecco dunque che nel corso degli anni sono stati sviluppati stili diversi di ecodotti: alcuni sopraelevati, dotati di piccoli stagni d’acqua, siepi e arbusti per la fruizione tanto dei grandi animali quanto dei piccoli. Altri sotterranei, umidi e scuri per le specie che non amano gli spazi aperti. Altri ancora utilizzabili sia dalla fauna selvatica che da ciclisti e pedoni.

(Nella foto grande un ecodotto realizzato in Belgio. Si tratta di uno dei molti esempi di ecodotto costruiti nel mondo. Fonte keblog.it)

Che cosa è la road ecology?

In Italia, tra strade comunali, provinciali e autostrade sono quasi 840000 i chilometri d’asfalto. Per il nostro Paese rappresentano le arterie che alimentano l’economia; per la conservazione della biodiversità, un problema sempre più pressante. A studiarlo è la road ecology.

Circa il 2,5% della superficie del territorio italiano è occupata da strade: strette, larghe, a due, a tre, a quattro corsie. Si tratta di una rete capillare, di fondamentale importanza per la nostra economia e per la società. Rappresenta però anche una delle più insidiose sfide per la conservazione ambientale. Perché quelle strade tagliano habitat, cambiano gli ecosistemi, diventano barriere insuperabili per molte specie.
A studiare gli impatti delle infrastrutture lineari sull’ambiente è la road ecology, letteralmente ecologia delle strade, che non solo si occupa di valutare e monitorare quali effetti produca la costruzione di una via di transito, ma studia anche come ridurre le conseguenze negative.
Una delle strategie di mitigazione più rodate sono gli ecodotti: passaggi sopraelevati o sotterranei dedicati alle altre specie animali. La loro realizzazione lungo i percorsi normalmente sfruttati dalla fauna per i propri spostamenti contribuisce a ridurre l’effetto frammentazione e abbassa il rischio di incidenti stradali.
Rappresenta dunque non solo una via per rendere la presenza umana sul territorio meno impattante, ma anche un investimento sulla sicurezza.
Perché un ecodotto funzioni, però, è necessario che sia costruito sulla base delle esigenze e dei comportamenti delle specie che intende aiutare: gli anfibi necessitano di polle d’acqua ravvicinate, gli ungulati di uno spazio compatibile con la loro mole; gli arbusti e le specie vegetali poste ad invito dovranno essere scelte con cura per non intralciare il percorso. Anche Natura vagante ha deciso di appoggiarsi alla road ecology per i suoi interventi. Ad Osio Sotto, sulla strada che porta a Levate, è stato appena ultimato un piccolo sottopassaggio per ricci, rospi e altri animali selvatici di taglia medio-piccola.
Dalla strada non lo si vede neanche: è un tubo di scolo che sbuca tra le siepi. Così deve essere: celato a chiunque non debba utilizzarlo.

 

Un passaggio per gli animali a Osio Sotto

A Osio Sotto continuano i lavori per rafforzare la connettività tra ecosistemi: un ecodotto e un piccolo bosco permetteranno di collegare l’area agricola del Rio Morla con quella a sud della città

Sta prendendo forma sulla via che da Osio Sotto porta a Levate un ecodotto, si tratta di un sottopassaggio per la fauna, pensato per permettere a ricci, ramarri, rospi e altri piccoli animali di transitare da un lato all’altro della strada, in totale sicurezza.

 Restano da realizzare parte delle barriere che impediranno agli animali di sconfinare sulla carreggiata e i movimenti terra che li aiuteranno a individuare il passaggio.

Anche il boschetto di carpini, noccioli, biancospino, rosa canina che serpeggerà tra l’impianto sportivo e le abitazioni della zona è quasi ultimato. 

Alberi e siepi andranno a svolgere una duplice funzione. Per gli animali che hanno usufruito del sottopassaggio rappresenteranno una via verde attraverso cui spostarsi. Per i cittadini diventeranno una barriera naturale contro la calura estiva e contro i rumori e le polveri che arrivano dalla strada e dall’area industriale di Osio Sopra.

L’intervento è parte delle opere che il progetto Natura vagante ha sviluppato per  contrastare il problema della frammentazione degli habitat e riconnettere due grandi aree agricole: quella che circonda il Rio Morla e le Rogge, a nord-est, e quella a sud di Osio Sotto, Boltiere e Verdellino.

Un tappeto di lenticchie

La lenticchia d’acqua galleggia sugli specchi d’acqua stagnanti, formando tappeti di un verde smagliante. Per gli animali è un riparo, per gli esseri umani un prezioso aiuto alla depurazione da inquinanti

La lenticchia d’acqua è una piccola pianta galleggiante. Sta sospesa sul pelo dell’acqua grazie a una fogliolina rotonda, da cui scende la sua unica, fluttuante radice. A guardarla sembra un ombrellino.

È un’amante delle acque basse e ferme, dove si accumulano i nutrienti necessari alla sua veloce propagazione. La rapidità di riproduzione è in effetti uno dei tratti caratteristici di questa pianta.

Si moltiplica in due modi diversi: liberando nelle acque dei piccoli semi e clonandosi. Nel secondo caso succede che una fogliolina madre, in due o tre giorni, si accresce formando una foglia gemella, che poi si separa da essa e, in breve tempo, dà vita a un nuovo clone.

Il risultato è facilmente intuibile: polle, stagni e lame d’acqua ricoperte da un tappeto di migliaia di ombrellini,  sotto cui trovano rifugio molti animali acquatici.

La lenticchia d’acqua è inoltre una pianta fitodepuratrice, cioè capace di assorbire sostanze che, in grandi quantità, rappresentano pericolosi inquinanti. Per esempio, i composti azotati e fosfati. 

Non è raro perciò trovarla negli impianti di depurazione. Se non giunge spontaneamente, sono gli umani a disseminarla.

Anche a Boltiere è presente: per adesso ha occupato tre piccole vasche. In futuro potrebbe espandersi anche nei bacini artificiali più grandi

La rana padana

La rana di Lataste è una delle specie vulnerabili che Natura vagante vuole proteggere. Come? Rafforzando la rete di aree umide presenti nel territorio del PLIS del Brembo.

Perfettamente mimetizzata sotto a un tappeto di foglie, tra i ceppi morti di una catasta di legno o nei ciuffi d’erba lungo un fosso, la rana di Lataste osserva il mondo coi suoi occhi acquosi, crogiolandosi nell’humus umido che le serve per star bene. Sulla sua schiena ha una macchia scura a forma di V e tra l’occhio e la bocca una sottile riga bianca, perimetro della banda nera che, come nelle tartarughe ninja, decora i lati del suo muso.

È una delle specie endemiche dell’Italia, presente esclusivamente nei nostri territori. È stata censita nella pianura padana e nel Canton Ticino, con avvistamenti anche al confine tra Slovenia e Istria. A minacciarne la sopravvivenza è la progressiva scomparsa degli ambienti a lei idonei: boschi ricchi di querce e carpini, con un sottobosco corposo molto umido, e foreste igrofile, cioè amanti dell’acqua.

La responsabilità è facilmente intuibile: espansione urbana, regimentazione delle acque e agricoltura intensiva hanno reso la pianura padana un territorio fortemente antropizzato e omologato, in cui le zone umide necessarie alla riproduzione di questa specie sono sempre più rare e frammentarie.

Anche se terricola, infatti, la rana di Lataste necessita comunque di raggiungere l’acqua con l’arrivo della primavera. È in questo periodo infatti che si riproduce, deponendo in stagni e polle un piccolo ammasso di uova, da cui – due o tre mesi dopo – fa capolino la nuova generazione di girini.

Che il nostro Paese sia ricco di opere d’arte straordinarie, di paesaggi unici, di prodotti alimentari diversissimi tra loro è noto in tutto il mondo. Un po’ meno conosciuto è il fatto che, anche dal punto di vista della biodiversità, l’Italia sia un paese specialeIn termini tecnici è un hotspot, cioè una regione caratterizzata da un’altissima diversità di forme viventi. La rana di Lataste fa parte di questo patrimonio di specie che non potremmo trovare altrove. L’impegno di Natura vagante nel proteggerla è un impegno a non lasciar svanire questo strano tesoro, fatto non di colori o marmi pregiati, ma di occhi, zampe e gole gracidanti.